Lucrezio rivalutato

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di Jacques Jouet

traduzione di Andrea Inglese

 

15.

 

Supponendo che mi si chieda di rammemorarmi di un’obiezione avanzata in precedenza, relativa all’eclettismo delle convinzioni che ho formulato, non potrei sottrarmi più a lungo dall’affermare che le mie liste, seppure non siano ordinate gerarchicamente, sono in ogni caso sorrette (questo vocabolo di cantiere non mi dispiace) da due principi, il concreto e la forma, due parole che funzionano per me, al contrario di lirismo ed eloquenza, come delle risorse dinamiche, dei fondamentali, nonostante la loro improprietà assilli sempre la riflessione, ragion per cui, le parole, è bene verificarle tutte, a cominciare da quella di concreto, senza chiedere alla categoria di riferimento di diventare ideale! concreto visto a contropelo rispetto alla nostalgia di una qualsiasi età dell’oro pre-fisica, il che non significa che la sofferenza del sé-non-sé non sia nella poesia – vi è anch’essa, come ogni altra cosa concreta –, ma a condizione che non sia l’ultima parola, e sapendo che, in ogni caso, la sola cosa che la poesia non si possa permettere è di non risuonare del canto-non-canto che formulava paradossalmente Tristan Corbière, e per l’avvento del quale nulla sarà trascurato, non del lavoro mistico, quello di Flaubert e di Mallarmé soprattutto, e di cui ci hanno scocciato a sufficienza, (quel lavoro lì, fuggirlo come la peste!), ma del lavoro delle macchine da scrivere che sono le costrizioni madri delle forme, lavoro mai automatico, un enorme esercizio, da non fare in solitudine, ma anche per gruppi, come quello sottinteso da Saint-Amant.

 

 

16.

 

Supponendo infine che mi si contesti qui che quanto è stato detto non sia stato che prescrittivo, e per di più per un uso soprattutto personale, sicché non sarà stato di alcuna utilità analitica o critica, risponderei che ciò non è, doppiamente, del tutto certo, da un lato per la ragione che un simile esame obbliga a considerare la Storia dei poeti e delle poesie con uno sguardo che rischia di sconvolgere un pochino le gerarchie acquisite, ossia di ricalibrare il patrimonio a sfavore del lirismo e dell’astrazione totalizzanti, Lucrezio rivalutato (ma ce n’è poi bisogno?), Lucrezio come Ercole della poesia, come lui stesso diceva che Epicuro era l’Ercole del pensiero, ma anche, più recentemente, Raymond Queneau la cui Piccola cosmogonia portatile non è un foruncolo bizzarro ma il puro capolavoro di un Ermes della poesia, e dall’altro lato per tentare d’illustrare attraverso l’esperienza sul campo, nel cantiere, attraverso il canto, non una scolastica ben congegnata e rassicurante, ma una messa in moto dell’attività poetica considerata come qualcosa che richiede la messa a punto di macchine, le quali non funzionano senza un sistema energetico dotato di un potere di surriscaldamento che è necessario temperare grazie a certi sistemi di raffreddamento.

 

[Jacques Jouet, À supposer…, Nous, Caen, 2007]